Golem: figura antropomorfa immaginaria della mitologia ebraica e del folclore medievale. Il termine deriva probabilmente dalla parola ebraica gelem, che significa “materia grezza”, o “embrione”, presente nel Tanakh (Salmo 139,16) per indicare la “massa ancora priva di forma”, che gli ebrei accomunano ad Adamo prima che gli fosse infusa l’anima,
E l’anima, o almeno qualcosa di simile, sarebbe stata donata al gigante d’argilla da un dottissimo mago e rabbino Judah Loew, nato e vissuto a Praga nel XVI secolo, per difendere gli ebrei dai progrom che un giorno sì e l’altro pure venivano promossi dalle popolazioni cristiane dell’Europa Orientale (giusto per ricordare che l’intolleranza nei confronti del diverso non mai stata qualcosa di estraneo alle umane genti) . Da elemento di folkore tout court, il Golem entra nel corso degli anni a far dell’immaginario collettivo e della cultura popolare europea, arrivando ad ispirare figure celeberrime come il Frankestein di Mary Shelley, oltre a costituire il precedente storico dei robot e degli androidi (in effetti in ebraico la parola Golem vuol dire proprio robot).

Ora proviamo a sostituire alla misteriosa figura di Loew quella altrettanto enigmatica di Satoshi Nakamoto, e alla parola Golem quella di Blockchain, è avremo un’altra bellissima storia, meno evocativa forse, ma decisamente più calata nella realtà e capace di imprimere un impatto profondo sulle vite delle persone. Un’entità, una tecnologia al pari del Golem, potenzialmente chiamata a difendere non più le spaurite masse ebraiche dell’Europa Orientale, ma milioni di cittadini digitali che l’odierna concentrazione dei mezzi di produzione dell’economia digitale e il loro modello estrattivo, condanna ad una quotidiana violazione della privacy e a una ingiusta redistribuzione del valore creato sul web. In effetti la blockchain, il libro mastro dell’economia della conoscenza, un database distribuito, sicuro e immutabile su cui registrare ogni sorta di informazione (dai trasferimenti monetari, bitcoin su tutti, a certificati di stato civile a proprietà immobiliari) ha tutte le caratteristiche per diventare lo strumento principe attraverso cui assicurare un reale empowerment dei cittadini digitali, mettendo in discussione la rendita di posizione dei nuovi giganti dell’economia mondiale, le aziende piattaforma della Silicon Valley (che, come giustamente osserva Don Tapscott, autore del fortunatissimo Blockchain revolution, al netto della retorica sharing, più che condividere in effetti aggregano). Così come la partita doppia, codificata in Italia nel XV secolo dal frate Luca Pacioli nel suo Summa de arithmetica, geometrica, proportioni et proportionalita (Venezia, 1494) ha costruito l’infrastruttura contabile per registrare supportare i flussi e le transazioni del nascente capitalismo, la blockchain ha le caratteristiche e le potenzialità per essere il medium dell’economia del XXI secolo, l’economia dei commons (ok, questo è più un whisful thinking). In particolare la blockchain, o meglio le blockchain, nel ridurre i costi di transazione, nell’eliminare l’elemento fiducia, la blockchain è per definizione trustless, e la relativa necessità di terze parti, può costituire un formidabile strumento di inclusione sociale per milioni di persone di paesi in via di sviluppo (pensiamo ad Abra un’app che consente di abbattere i costi di pagamento per le rimesse degli immigrati), oltre che l’elemento detonatore per l’affermarsi di nuovi modelli di business e nuove pratiche di generazione e distribuzione del valore.
Ma così come il Golem anche la blockchain nasconde un lato oscuro legato alla pervasività del network, alla possibilità, combinata con i progressi dell’Intelligenza Artificiale e dell’Internet delle Cose, di acquisire un ruolo “quasi” senziente ridefinendo implicitamente i confini che separano l’umano dall’artificiale, l’uomo dalla macchina. In effetti il combinato disposto degli smart contract e dei DAO (acronimo per Decentralized Autonomus Organization), al netto di un debutto non esattamente brillante (nonostante si configuri come il più imponente caso di crowdfunding della storia) aprono scenari inediti che richiedono una profonda review delle attuali categorie morali e giuridiche e che necessitano di nuovi luoghi  di confronto e discussione tra businessmen, legislatore e organizzazioni non governative (un recente articolo apparso sul sito del World Economic Forum, che potete leggere qui, esplicita bene questa necessità evocando l’improcrastinabilità di un’etica 2.0 per il XXI secolo). E bene ha fatto il Parlamento Europeo ha impegnare la Commissione a studiare i modelli di business legati alle blockchain e supportate i nuovi ecosistemi d’innovazione decentralizzati.

Ma c’è forse un pericolo ancora più grande. Un pericolo che trova un ulteriore parallelo nella leggenda del Golem: l’eventualità che il potere liberatorio della blockchain si inabissi nelle pieghe della storia, travolto da nuovi contro-poteri e nuove pratiche estrattive che ne dissipino le capacità di inclusione e di creatività (la storia di Internet degli ultimi 25 anni dovrebbe averci insegnato qualcosa). La storia, quella con la S maiuscola, raramente si configura come un processo meccanico e deterministico e tutto in ultima analisi è rimesso alle scelte delle persone, ai loro progetti, ai loro sogni e alla costanza nel perseguirli.

P.S: Per la cronaca: Golem è il nome di una delle startup più interessanti nate attorno alla blockchain, la cui vision è tanto semplice quanto magniloquente: creare il più grande computer del mondo connettendo i vari pc delle persone via blockchain. E il cerchio si chiude.

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